Diabete e fattori di rischio
L’origine del termine “diabete” risale al III secolo a.C. (vengono citati a questo proposito Apollonio da Menfi e Demetrio di Apamea) e significa “passare attraverso” (dal verbo greco “διαβαίνω”), alludendo alle grandi quantità di acqua che venivano assunte dai pazienti diabetici.
Una descrizione accurata della patologia risale al II secolo d. C., quando il medico greco Areteo di Cappadocia descrisse la patologia come “…disciogliersi in urina le carni e le membra dell’organismo…lungo tempo impiega nello sviluppo…abbrevia la vita dell’infermo…inestinguibile è la sete…”.
Nella società moderna i fattori di rischio per il diabete sono purtroppo molti, ed includono l’inattività fisica, le cattive abitudini alimentari (soprattutto l’eccesso di zuccheri semplici e grassi, in concomitanza con il ridotto apporto di fibre), l’etnia, la genetica, l’obesità, l’ipertensione, le dislipidemie, la sindrome dell’ovaio policistico, la storia di rischio cardiovascolare. Questi fattori possono alterare la regolazione dell’omeostasi del glucosio, limitando la produzione o l’azione dell’insulina.
L’insulina
L’insulina è un ormone che viene prodotto e secreto da parte delle cellule B-pancreatiche in seguito all’aumento della concentrazione plasmatica di glucosio (iperglicemia). Una volta rilasciata nel flusso sanguigno l’insulina agisce contattando i suoi recettori (IR), localizzati principalmente sulle cellule muscolari e adipose. La situazione di iperglicemia derivante dalla mancata o limitata secrezione di insulina da parte del pancreas, o alla sua inadeguata attività, prende il nome di diabete mellito (questo termine indica il sapore dolce delle urine di questi pazienti, simile al miele).
Diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2 differenze
Esistono varie forme di diabete. Le principali sono quelle di tipo 1 e di tipo 2.
Il diabete di tipo 1 è definito anche “insulino-dipendente”, poichè è dovuto all’inabilità del pancreas di produrre sufficienti quantità di insulina a causa della morte prematura delle cellule B-pancreatiche. Sebbene in alcuni pazienti non si riscontri la presenza di autoanticorpi (diabete idiopatico), è stato dimostrato che la distruzione delle cellule B-pancreatiche è dovuta ad alcune reazioni di tipo autoimmune. La mancanza o la ridotta presenza di cellule B-pancreatiche costringe le persone affette da questa patologia alla periodica auto-somministrazione di insulina esogena per garantire la corretta regolazione della glicemia. Una forte iperglicemia può indurre infatti un severo stato di chetoacidosi, che può portare a complicazioni anche mortali. La patologia origina nel periodo dell'infanzia/adolescenza ed i sintomi si manifestano in seguito alla distruzione dell’80-90% delle cellule B-pancreatiche.
Il diabete di tipo 2, ovvero la forma “insulino-indipendente”, è causato da uno stato patologico definito insulino-resistenza, ovvero dalla ridotta risposta all’insulina da parte delle cellule bersaglio. In termini molecolari si manifesta in seguito all’alterata modificazione di una molecola che viene normalmente attivata dall’insulina, chiamata IRS-1 (Insulin receptor substrate 1), che invece di essere fosforilata a livello dell’aminoacido tirosina viene fosforilata a livello di serina e treonina. Questo causa un'alterata risposta all’ormone, e ne consegue la difficoltà da parte degli adipociti e dei miociti di ridurre la glicemia . Cosa fa a questo punto il pancreas? La sua risposta è quella di contrastare lo stato iperglicemico provando a secernere maggiori quantità di insulina, ma questo genera un enorme affaticamento delle sue cellule, che iniziano ad andare incontro a fenomeni apoptotici (morte cellulare). Per questo motivo nel lungo periodo la produzione di insulina può essere alterata anche nel diabete di tipo II.
Il diabete di tipo 2 è responsabile del 90% dei casi totali di diabete, ed è fortemente correlato all’obesità ed ad altre alterazioni fisiologiche come infiammazione ed aumento dello stress ossidativo [1]. Per questo motivo la patologia può manifestare i primi sintomi anche soltanto dopo il raggiungimento dell’età adulta.
Le analisi epidemiologiche indicano che la frequenza del diabete di tipo 2 sia in continuo aumento negli adolescenti, e questo deriva dalla scarsa attenzione verso la corretta alimentazione e dall’insufficiente pratica di attività fisica [2].
Una sottoclasse di diabete di tipo 2 è quello gestazionale, che si sviluppa in seguito alla riduzione della sensibilità insulinica delle cellule della madre durante la gravidanza. Nel 90% dei casi questa forma di diabete si risolve con il parto.
Complicazioni della patologia
Il diabete mellito porta allo sviluppo di molte disfunzioni fisiologiche, spesso anche gravi, come:
- Iperglicemia, che si manifesta attraverso vari sintomi tra cui nausea, vomito, sete, secchezza delle fauci, debolezza, sonno;
- Forte ipoglicemia, poichè l’abbassamento della glicemia da parte dei farmaci non viene repentinamente compensato dall’ormone glucagone, la cui azione contraria a quella dell’insulina permette un innalzamento della glicemia [3]. Alcuni sintomi riscontrabili in questo caso sono spossatezza, sonno, malessere, capogiri;
- Chetoacidosi patologica severa, frequente nel diabete di tipo 1 ma rara i quello di tipo 2. E' dovuta all’aumento dei corpi chetonici nel sangue e all’incapacità di veicolare i carboidrati nelle cellule [4]. Ne risulta l’abbassamento del pH sanguigno, che può avere effetti anche fatali.
- produzione di AGE (Advanced glycated end-products), ovvero di proteine e lipidi a cui si associano varie unità di glucosio che ne modificano la funzione e promuovono l’infiammazione tissutale e il danno ossidativo [5];
- Iperkalemia (aumento del potassio plasmatico), dovuta al mancato uptake del potassio nelle cellule guidato dall’insulina, che può causare aritmie cardiache;
- Glicosuria, ovvero l’aumento del glucosio plasmatico in concomitanza con il suo mancato assorbimento da parte delle cellule muscolari o adipose porta alla sua escrezione renale. Nei pazienti affetti da diabete mellito sarà dunque molto probabile constatare la presenza di glucosio nelle urine. Questo indurrà l’aumento della diuresi (poliuria), causando disidratazione e polidipsia (sete, anche per il ridotto assorbimento di Na), con conseguente calo del volume plasmatico. Il glucagone e l’adrenalina rilasciati per la scarsità di glucosio intracellulare portano inoltre alla secrezione di altro glucosio e di altri corpi chetonici nel fegato, con conseguente abbassamento del pH ematico [6];
- Aumento del rischio cardiovascolare e cerebrovascolare di 2-4 volte rispetto a pazienti senza DM;
- Retinopatia diabetica, che porta a cecità a causa di microaneurismi, emorragie retiniche, anomalie microvascolari ed edema;
- Neuropatia, dovuta alla glicosilazione proteica. Colpisce più spesso gli arti inferiori, causando parestesia, intorpedimento e tremolio, ma può anche provocare disturbi gastrointestinali e cardiaci (neuropatia autonomica);
- Infiammazione cronica;
- Disturbi cognitivi in età avanzata [7];
- Sembrerebbe esserci un aumento del rischio di celiachia nei pazienti aventi parenti di primo grado affetti da diabete 1 [8];
- Insufficienza renale cronica.
Altre molecole che controllano l’insulina
L'aumento della glicemia non è l'unico fattore in grado di indurre la secrezione dell'insulina da parte delle cellule B-pancreatiche. Anche grassi, proteine, glucagone ed altre molecole come le incretine (secrete dall'intestino), le secretine, GLP1 e GIP possono infatti contribuire all'innalzamento dell'insulinemia (concentrazione dell'insulina nel sangue). L'attivazione del sistema nervoso simpatico, invece, diminuisce la secrezione di insulina attraverso la produzione di noradrenalina, mentre quello parasimpatico la aumenta, favorendo i processi anabolici post-prandiali con la secrezione di acetilcolina [9, 10, 11, 12].
In particolari condizioni fisiologiche come la gravidanza, alcuni ormoni placentari come i lattogeni, gli estrogeni e i progestinici favoriscono la secrezione insulinica.
Quale dieta seguire per i diabetici?
Non esiste un protocollo standard per stabilizzare la glicemia nei pazienti affetti da diabete. Ogni caso dovrà essere valutato indipendentemente da parte del medico, che fornirà indicazioni riguardanti la quantità di carboidrati assunti nei singoli pasti e nell’intera giornata, l'eventuale terapia farmacologica, l’intensità dell’attività sportiva.
Le linee guida generali forniscono comunque le seguenti indicazioni:
Automonitoraggio del glucosio plasmatico;
Apporto di carboidrati, grassi e proteine personalizzato. Infatti se alcune persone beneficiano di una dieta con carboidrati più elevati, altre necessitano una più o meno lieve riduzione di questi. E' comunque indispensabile non trascurare la funzionalità renale e le preferenze alimentari del paziente [13];
Limitare il più possibile il saccarosio, che provoca un rapido innalzamento della glicemia. Sono concessi dolcificanti naturali come fruttosio e polioli, e anche quelli artificiali a 0 contenuto di calorie (Acesulfame, aspartame, Saccarina, etc.), ma il consiglio è quello di limitarli perché l loro abituale consumo comporta l'aumento diretto o indiretto delle calorie introdotte, favorendo l’accumulo del grasso viscerale e quindi l'insorgere di insulino resistenza e dislipidemie [14];
Decidere l’apporto delle proteine in base alla stima di filtrazione glomerulare (eGFR);
Suddividere i grassi (saturi, monoinsaturi, polinsaturi, colesterolo) seguendo le indicazioni guida per la popolazione sana;
Ridurre il peso tramite la correzione dello stile di vita è essenziale per i pazienti in sovrappeso. In caso di diabete di tipo 2, la perdita di peso migliora la sensibilità insulinica, e quindi la glicemia, la lipidemia e la pressione sanguigna.
Aumentare il consumo di fibre. In uno studio di coorte multietnico effettuato su 75000 pazienti nell'arco di 14 anni, hanno visto che l'apporto di più di 15 g di fibre al giorno diminuiva il rischio di diabete [15]. Nello stomaco le fibre si idratano e formano una sostanza simile a gel che sequestra e ritarda assorbimento carboidrati e di conseguenza l’innalzamento della glicemia, aumentando inoltre l’assunzione di antiossidanti [16]. Può inoltre aumentare la biodiversità/funzionalità del microbiota, che sembra essere alterato per i pazienti con diabete. L’apporto giornaliero delle fibre dovrebbe essere di circa 14 g/1000 Kcal. Oltre che dal consumo di fibre, la glicemia è influenzata anche da altri fattori come cottura, tempertura del cibo, abbinamento con gli altri macronutrienti.
Praticare attività fisica, che risulta molto utile al fine di migliorare la sensibilità insulinica in pazienti con diabete mellito di tipo 2. A tal fine il medico dovrà però accertarsi che il paziente sia in condizione di poter svolgere attività fisica, a causa delle varie complicazioni che la malattia può causare (nefropatia, aumento rischio cardiovascolare, retinopatie, etc.);
Evitare diete chetogeniche, a meno che non siano state accuratamente programmate da professionisti competenti. Tali tipi di diete possono facilmente aggravare lo stato di chetoacidosi patologica, e sono fortemente sconsigliate in pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1 (in letteratura esistono pochi studi riguardanti l'applicazione di diete chetogeniche per tale patologia). Nei casi può gravi la chetoacidosi può portare anche ad edema cerebrale e morte.
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